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Cannabis,storia di una pianta controversa

Salita alla ribalta negli ultimi anni, in virtù dei sempre più numerosi studi sulle sue virtù terapeutiche, e sotto l’occhio dei riflettori per via dell’annosa questione sulla legalizzazione delle droghe cosiddette leggere, la Cannabis è in realtà una pianta con una storia millenaria, che ha attraversato i secoli e che – nelle diverse epoche della storia umana – ha conosciuto fortune alterne per uso e diffusione geografica. Si ritiene che la Cannabis (C. sativa) abbia origini himalayane. La coltivazione e l’uso della cannabis risalirebbe a 5-6000 anni fa: essa rappresenta probabilmente la pianta più antica coltivata dall’uomo, che la utilizzava sia come fonte di cibo (i semi della cannabis potevano essere consumati come tali, oppure come materia di partenza per ottenere farina e olio) e di fibre tessili (ottenute dai gambi), che a scopo medicinale Attualmente le specie di Cannabis più conosciute, coltivate e studiate sono la Cannabis sativa e la Cannabis indica; accanto ad esse vi è un terzo tipo, la C. ruderalis (che alcuni testi di botanica classificano però come sottospecie della C.sativa), che cresce spontanea nella Russia centrale.

“Attualmente le specie di Cannabis più conosciute, coltivate e studiate sono la Cannabis sativa e la Cannabis indica; accanto ad esse vi è un terzo tipo, la C. ruderalis...”

Le prime testimonianze scritte: Cina e India

Le prime testimonianze sull’uso della cannabis (semi) a scopo medicinale pare fossero contenute nel testo considerato la più antica Farmacopea al mondo, il Pen Ts’ao Ching, risalente al I sec a. C. – un manuale di agricoltura e piante medicinali, di cui non esiste più l’originale: pare si trattasse di una raccolta in tre volumi delle piante medicinali conosciute e utilizzate fin dall’epoca dell’imperatore Shennong (vissuto, secondo la leggenda, intorno al 2800 a.C.) e, sino alla redazione del testo, tramandate oralmente. Tra le piante descritte, oltre alla cannabis, figuravano rimedi fitoterapici ancora oggi conosciuti e utilizzati nella medicina tradizionale di molti Paesi del mondo, come lo zenzero, il rabarbaro, la cannella, la liquirizia, il ginseng ecc. Nel testo la cannabis veniva consigliata per una serie di disturbi: dolore reumatico, costipazione, disordini riproduttivi, malaria e altri ancora. Secondo la tradizione, fu proprio un chirurgo cinese, Hua To, vissuto nel I sec. d.C., il primo ad utilizzare una miscela di cannabis e vino rosso per anestetizzare i pazienti prima dell’intervento chirurgico. Sempre nel Pen Ts’ao Ching troviamo il primo riferimento agli effetti psicotropi della cannabis: “il frutto della cannabis se consumato in eccesso provoca visioni demoniache” – recita il testo – “e a lungo andare alleggerisce il corpo e porta a comunicare con gli spiriti”. A parte questo riferimento però, non si trovano molte altre testimonianze sull’uso ricreativo della cannabis nell’antica Cina, probabilmente perché era un utilizzo in qualche modo relegato allo sciamanesimo – che in Cina iniziò ad essere pian piano dimenticato a partire dalla dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), in concomitanza con l’ascesa del Taoismo. Peraltro, è interessante notare che la parte della pianta maggiormente utilizzata in Cina a scopo medicinale erano i semi- che oggi si sa essere carenti del cannabinoide responsabile degli effetti psicotropi, il THC (tetraidrocannabinolo). I semi di canapa risultano invece ricchi di acidi grassi essenziali, tra cui l’acido gamma-linoleico – presente tuttora in molti preparati ad uso topico per il trattamento di dermatiti, psoriasi, acne, orticaria e in integratori alimentari per via dell’azione antinfiammatoria.
Molto più diffuso risulta invece l’utilizzo della cannabis nella storia dell’India, sia a scopo medicinale che ricreativo: ciò è probabilmente dovuto allo stretto legame dell’erba con la sfera religiosa – sono gli stessi sacri testi Veda, infatti, ad annoverare la cannabis tra le cinque piante sacre, fonti di felicità, libertà e gioia. In India la cannabis poteva essere consumata preparandola in tre modi differenti, tutti contenenti sostanze psicoattive: Bhang, il più “leggero”, costituito da foglie secche con rimozione dei fiori, utilizzato prevalentemente sottoforma di infuso (in genere con miele e spezie) Ganja, un tipo più forte, preparato con i fiori della cannabis femmina Charas, la varietà più forte delle tre, preparata con la resina che ricopre i fiori della cannabis femmina. La resina è secreta dalle ghiandole presenti sulle gemme della pianta ed è caratterizzata da un elevato contenuto di cannabinoidi ad azione psicotropa.

Le prime testimonianze sull’uso terapeutico della cannabis in India risalgono al 1000 a.C.: la pianta veniva utilizzata per i suoi effetti

  • Anticonvulsivante (epilessia, tetano, rabbia)
  • Analgesico (mal di testa, mal di denti, neuropatie)
  • Antibiotico (trattamento locale di infezioni e tubercolosi)
  • Ansiolitico
  • Anestetico e ipnotico
  • Antiparassitario
  • Antispastico (coliche, diarrea)
  • Digestivo, stimolante dell’appetito
  • Diuretico
  • Antitussivo ed espettorante (bronchite, asmaI

La diffusione in Europa: Grecia e Impero Romano

Per quanto è dato conoscere, la diffusione della Cannabis in Europa si deve agli Sciti europei, una popolazione di tribù nomadi che fra il VII secolo a.C. e il III secolo d.C. abitava nelle regioni del Mar Nero. Le prime testimonianze su questo popolo risalgono allo storico greco Erodoto (484-425 a.C.), che nel quarto volume delle Historae descriveva l’utilizzo di una pianta da parte degli Sciti durante i riti funebri, con effetto rilassante ed euforizzante. Erodoto scriveva così: “Compiuta una sepoltura, gli Sciti si purificano nel seguente modo. Dopo essersi unto e deterso il capo, al corpo fanno questo: piantati tre pali inclinati l’uno verso l’altro, vi stendono sopra tutt’intorno coperte di lana e, stringendole il più possibile, gettano pietre arroventate in una conca posta in mezzo ai pali e alle coperte. Nasce presso di loro una pianta di canapa, assai simile al lino fuorché per spessore e grandezza (…) Gli Sciti dunque, dopo aver preso semi di questa canapa, si introducono sotto quelle coperte, e poi gettano i semi sopra le pietre roventi. Il seme gettato fa fumo ed emana un vapore tale che nessun bagno a vapore greco potrebbe vincerlo. Gli Sciti mandano urla di gioia soddisfatti da questo bagno” (Erodoto, Historiae, IV, Mondadori, Milano, 1984). Più tardi, Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), nella sua enciclopedia Naturalis Historia, descrive l’uso medicinale della cannabis e i suoi effetti antidolorifici e antinfiammatori; non fa tuttavia cenno agli effetti psicotropi. Dioscoride, medico greco contemporaneo di Plinio il Vecchio, conferma nel suo De Materia Medica l’effetto antinfiammatorio della Cannabis. Soltanto Galeno (129-217), medico personale dell’imperatore Marco Aurelio, riporta, accanto alle proprietà antinfiammatorie, gli effetti della cannabis a livello centrale: in particolare egli mette in guardia dal consumo eccessivo di dolci a base di cannabis nei banchetti dei romani, poiché essi sono, sì, in grado di favorire rilassamento ed euforia, ma con effetti collaterali quali sete, rallentamento dei riflessi e difficoltà digestive.

Il medioevo della cannabis

In epoca medievale – e in particolare in Europa – l’interesse per la cannabis andò pian piano diminuendo, complice forse il clima di censura e demonizzazione, culminato con la bolla papale del 1484 con la quale Innocenzo VIII, per combattere eresie e stregonerie, condannava in via definitiva la cannabis e ne proibiva l’uso ai fedeli, bollandolo come sacrilego. D’altro canto, proprio in Italia durante il Medioevo aumentò l’impiego manufatturiero della canapa: le quattro repubbliche marinare (Venezia, Genova, Pisa e Amalfi) ne divennero le maggiori importatrici, per l’impiego nel settore tessile e nella produzione della carta. Erano stati gli Arabi a introdurre in Europa la tecnica di produzione della carta dalla canapa, prima in Spagna e poi in Italia, a partire dal 1150. La Bibbia di Gutenberg, per fare un esempio, il primo testo stampato dopo l’invenzione dei caratteri mobili e considerato oggi uno dei libri più preziosi al mondo, fu realizzata a Magonza nel 1453: 40 copie furono stampate su pergamena, 140 sulla canapa importata dall’Italia. Per quanto riguarda il resto dell’Europa, il consumo di cannabis non scomparve del tutto durante il Medioevo: esistono testimonianze del suo utilizzo in Paesi quali la Germania, l’Inghilterra e soprattutto l’Europa dell’est, dove peraltro l’uso della cannabis nella medicina tradizionale era assai radicato e diffuso. Molto più diffuso risulta invece l’utilizzo della cannabis nella storia dell’India, sia a scopo medicinale che ricreativo: ciò è probabilmente dovuto allo stretto legame dell’erba con la sfera religiosa – sono gli stessi sacri testi Veda, infatti, ad annoverare la cannabis tra le cinque piante sacre, fonti di felicità, libertà e gioia. In India la cannabis poteva essere consumata preparandola in tre modi differenti, tutti contenenti sostanze psicoattive: Bhang, il più “leggero”, costituito da foglie secche con rimozione dei fiori, utilizzato prevalentemente sottoforma di infuso (in genere con miele e spezie) Ganja, un tipo più forte, preparato con i fiori della cannabis femmina Charas, la varietà più forte delle tre, preparata con la resina che ricopre i fiori della cannabis femmina. La resina è secreta dalle ghiandole presenti sulle gemme della pianta ed è caratterizzata da un elevato contenuto di cannabinoidi ad azione psicotropa

“...proprio in Italia durante il Medioevo aumentò l’impiego manufatturiero della canapa: le quattro repubbliche marinare (Venezia, Genova, Pisa e Amalfi) ne divennero le maggiori importatrici...”

La cannabis in epoca moderna: i primi studi scientifici

All’inizio del XX secolo le indicazioni terapeutiche sull’utilizzo della cannabis coprivano tre macro-aree: 1) sedativo ipnotico (insonnia, tetano, rabbia, tubercolosi, tosse, spasmi ecc) 2) analgesico (cefalee, dolori neuropatici, dismenorrea, reumatismi, gotta, mal di denti ecc) 3) altri usi (stimolo dell’appetito, disturbi digestivi, dispepsia, diarrea, palpitazioni, disturbi della sfera sessuale ecc) 4 L’ostacolo maggiore per l’utilizzo della cannabis in ambito terapeutico era rappresentato dall’impossibilità di standardizzare le preparazioni – che quindi presentavano un’estrema variabilità negli effetti, a seconda della provenienza, delle caratteristiche della materia prima, della tecnica di preparazione. Questo perché non si era ancora stati in grado di caratterizzare i principi attivi responsabili degli effetti della cannabis: il CBD (cannabidiolo, il cannabinoide non psicoattivo) fu isolato nel 1940 e caratterizzato nel 1963, il THC (tetraidrocannabinolo, responsabile degli effetti psicotropi) fu isolato e caratterizzato nel 1964. La definizione della struttura del THC si deve ai ricercatori israeliani Mechoulam e Gaoni. Le ricerche di Mechoulam, inoltre, diedero impulso alla scoperta e allo studio di un sistema di recettori presente all’interno del corpo umano e fino ad allora sconosciuto, il sistema degli endocannabinoidi (ECS). Lo studio dei recettori degli oppioidi portò lo stesso ricercatore ad individuare, nel 1992, l’anandamide, un cannabinoide endogeno (ossia normalmente presente nel corpo umano): questa scoperta aprì la strada alla comprensione sempre più approfondita del meccanismo d’azione dei cannabinoidi nel corpo umano. I progressi in ambito scientifico coincisero però con un progressivo inasprimento del clima intorno alla cannabis: già nel 1937 negli Stati Uniti era stata emanata dal presidente Roosevelt la Marihuana Tax Act, una legge che di fatto impediva la coltivazione della canapa. La legge in realtà non impediva formalmente la commercializzazione e l’uso, ma rendeva economicamente improponibile la coltivazione di cannabis, tassando pesantemente qualsiasi transazione commerciale e punendo i trasgressori con multe salate e carcere. Qualche anno dopo, nel 1941, la Cannabis venne rimossa dalla Farmacopea americana e nel 1961 la United Nations Single Convention on Narcotic Drugs classificò la cannabis tra le sostanze stupefacenti, al pari dell’eroina. Il risultato di tali provvedimenti, negli Stati Uniti e in Europa, finì col relegare la Cannabis, dopo migliaia di anni di storia e di utilizzo, a mera droga pericolosa, via di accesso privilegiata e quasi inevitabile al consumo di droghe più pesanti, come eroina e cocaina. Questa percezione, purtroppo, finì col coinvolgere non solo l’uso ricreativo della cannabis ma anche il suo utilizzo a fini terapeutici. Per una riabilitazione della cannabis dal punto di vista terapeutico occorrerà attendere il dicembre del 2020, quando l’ONU riclassificherà ufficialmente la pianta, rimuovendola dalla Tabella IV delle droghe pericolose (dove sono contenute, tra le altre, eroina e cocaina) e riconoscendone il valore terapeutico.

XX e XXI secolo: declino e riscoperta della cannabis

All’inizio del XX secolo le indicazioni terapeutiche sull’utilizzo della cannabis coprivano tre macro-aree: 1) sedativo ipnotico (insonnia, tetano, rabbia, tubercolosi, tosse, spasmi ecc) 2) analgesico (cefalee, dolori neuropatici, dismenorrea, reumatismi, gotta, mal di denti ecc) 3) altri usi (stimolo dell’appetito, disturbi digestivi, dispepsia, diarrea, palpitazioni, disturbi della sfera sessuale ecc) L’ostacolo maggiore per l’utilizzo della cannabis in ambito terapeutico era rappresentato dall’impossibilità di standardizzare le preparazioni – che quindi presentavano un’estrema variabilità negli effetti, a seconda della provenienza, delle caratteristiche della materia prima, della tecnica di preparazione. Questo perché non si era ancora stati in grado di caratterizzare i principi attivi responsabili degli effetti della cannabis: il CBD (cannabidiolo, il cannabinoide non psicoattivo) fu isolato nel 1940 e caratterizzato nel 1963, il THC (tetraidrocannabinolo, responsabile degli effetti psicotropi) fu isolato e caratterizzato nel 1964. La definizione della struttura del THC si deve ai ricercatori israeliani Mechoulam e Gaoni. Le ricerche di Mechoulam, inoltre, diedero impulso alla scoperta e allo studio di un sistema di recettori presente all’interno del corpo umano e fino ad allora sconosciuto, il sistema degli endocannabinoidi (ECS). Lo studio dei recettori degli oppioidi portò lo stesso ricercatore ad individuare, nel 1992, l’anandamide, un cannabinoide endogeno (ossia normalmente presente nel corpo umano): questa scoperta aprì la strada alla comprensione sempre più approfondita del meccanismo d’azione dei cannabinoidi nel corpo umano. I progressi in ambito scientifico coincisero però con un progressivo inasprimento del clima intorno alla cannabis: già nel 1937 negli Stati Uniti era stata emanata dal presidente Roosevelt la Marihuana Tax Act, una legge che di fatto impediva la coltivazione della canapa. La legge in realtà non impediva formalmente la commercializzazione e l’uso, ma rendeva economicamente improponibile la coltivazione di cannabis, tassando pesantemente qualsiasi transazione commerciale e punendo i trasgressori con multe salate e carcere. Qualche anno dopo, nel 1941, la Cannabis venne rimossa dalla Farmacopea americana e nel 1961 la United Nations Single Convention on Narcotic Drugs classificò la cannabis tra le sostanze stupefacenti, al pari dell’eroina. Il risultato di tali provvedimenti, negli Stati Uniti e in Europa, finì col relegare la Cannabis, dopo migliaia di anni di storia e di utilizzo, a mera droga pericolosa, via di accesso privilegiata e quasi inevitabile al consumo di droghe più pesanti, come eroina e cocaina. Questa percezione, purtroppo, finì col coinvolgere non solo l’uso ricreativo della cannabis ma anche il suo utilizzo a fini terapeutici. Per una riabilitazione della cannabis dal punto di vista terapeutico occorrerà attendere il dicembre del 2020, quando l’ONU riclassificherà ufficialmente la pianta, rimuovendola dalla Tabella IV delle droghe pericolose (dove sono contenute, tra le altre, eroina e cocaina) e riconoscendone il valore terapeutico.

La cannabis oggi

Negli ultimi anni si è assistito a livello globale a un allentamento delle restrizioni sull’uso e la commercializzazione della cannabis, consentendone l’impiego a fini terapeutici e – in alcuni Stati – anche a fini ricreativi (in Oregon, Washington e Alaska l’utilizzo della cannabis è considerato legale anche a fini ludici).

In questo contesto, un ruolo di spicco potrebbe giocarlo il CBD (cannabidiolo), il cannabinoide che ha dimostrato possedere importanti effetti terapeutici, senza avere azione psicoattiva: sui possibili utilizzi del derivato è necessaria però una ricerca scientifica sistematica, oggi ancora carente per alcuni aspetti, che valuti i benefici ma anche gli effetti collaterali, soprattutto a medio-lungo termine.

A tal proposito, nel 2017 è stato pubblicato un report da parte dell’Accademia Nazionale di Medicina statunitense, che ha analizzato più di 10000 studi scientifici sull’utilizzo della cannabis, pubblicati a partire dal 1999. Sulla base degli studi selezionati, l’Accademia identifica 3 aree di applicazione della cannabis supportate da prove scientifiche ritenute sufficientemente valide, ossia il trattamento di
-Nausea e vomito associati al trattamento chemioterapico
-Dolore cronico negli adulti
-Spasticità nei pazienti affetti da sclerosi multipla

Per quanto riguarda altre possibili applicazioni, come il miglioramento della qualità del sonno e il trattamento del dolore nella sclerosi multipla, ci sono alcune evidenze, ma che richiedono ulteriori approfondimenti per essere confermate. Per tutte le altre applicazioni studiate (sindrome di Tourette, ansia, disturbo da stress post-traumatico, perdita di appetito associata a HIV/AIDS) le prove non sono state invece ritenute sufficienti.

Nel 2018 è stato autorizzato dalla FDA – l’ente governativo americano responsabile dell’approvazione dei farmaci – l’Epidyolex, il primo medicinale a base di CBD per il trattamento dell’epilessia resistente ai farmaci tradizionali. Il farmaco è stato approvato successivamente in Europa, dall’EMA, e in Italia dall’AIFA.

In definitiva, il dibattito è ancora aperto e fortunatamente l’interesse crescente sull’utilizzo dei cannabinoidi a scopo terapeutico ha dato una spinta importante alla ricerca in questo settore. Sono senz’altro necessari studi approfonditi per comprendere come la cannabis possa influire sulla salute umana e quali benefici possa apportare. Inoltre, al di là dell’attenzione mirata su THC e CBD, i due principali cannabinoidi, ricordiamo che la cannabis come tale è un fitocomplesso, ossia un insieme di sostanze che possono agire in modo sinergico e significativamente differente dal singolo componente considerato da solo: la conoscenza del fitocomplesso e delle sue interazioni col Sistema Endocannabinoide umano restano ambiti di studio fondamentali e imprescindibili per conoscere e valorizzare le possibili applicazioni terapeutiche della pianta.